

Come è possibile che differenti modelli di regressione forniscano conclusioni così diverse? Quale modello fornisce i risultati più attendibili? Ebbene, gli assunti alla base dei modelli di regressione lineare utilizzati (x variabile indipendente, y variabile indipendente e componente principale standardizzata) sono identici, tranne che per il fatto che la regressione x variabile indipendente assume che la variabile in ascisse (x) sia la variabile misurata senza errore, la regressione y variabile indipendente assume che la variabile in ordinate (y) sia la variabile misurata senza errore, mentre la componente principale standardizzata assume che sia la variabile in ascisse sia la variabile in ordinate siano misurate con un errore dello stesso ordine di grandezza. La risposta alle due domande è che, nel caso specifico, il fatto che il coefficiente di correlazione r sia “solamente” 0,5 indica che l’informazione contenuta nei dati è troppo scarsa per fornire una indicazione univoca. In questo caso la forma che viene dati ai dati, e quindi la conclusione che da essi viene tratta, risulta determinata più dagli assunti del modello matematico (di regressione) che dal contenuto informativo dei dati stessi! Un terzo esempio è quello relativo all’espressione dei risultati di uno studio clinico controllato in termini di rischio o di rischio relativo (RR) [d]. Dal 19 al 23 marzo 2002 a Barcellona si è tenuto il 3rd European Breast Cancer Conference (EBCC-3). Dove sono stati presentati in maniera preliminare i dati di uno studio svolto su 103.000 donne norvegesi e svedesi, che ha dimostrato un lieve aumento del rischio di sviluppare un cancro della mammella con l’uso di contraccettivi orali (CO). I dati sono stati ripresi e pubblicati dalla stampa in un articolo, con grande clamore. Il messaggio è in sintesi che dopo cinque anni di assunzione di CO si ha un aumento del 26% di sviluppare un cancro della mammella. L’articolo comunica ovviamente una forte sensazione di allarme a chiunque lo legga. Ma vediamo di analizzare i dati. Innanzitutto la statistica sanitaria ci dice che sette donne su cento avranno un tumore al seno nel corso della loro esistenza. Questo è dunque il rischio basale (RR = 1,0) che ogni donna ha: sette probabilità su cento. In base i risultati dello studio queste donne passano da 7, nel gruppo che non assume CO, a 8,82 nel gruppo che assume CO (8,82/7 = 1,26). Quindi il messaggio è che, in valore assoluto, circa due donne su cento ammaleranno in più nel gruppo che assume CO. Ma questo è fondamentalmente diverso dal lasciare nella mente del lettore “il venticello” del 26% [e]. Quest’ultimo esempio si colloca in un’area che va dal “pregiudizio” del ricercatore, che compare nel momento in cui “da forma” ai dati in termini di rischio relativo, alla deformazione “propagandistica” di questi da parte del giornalista. I due precedenti esempi illustravano invece veri e propri “artefatti”. Ma la morale tutti e tre gli esempi sono accomunati da un problema soggiacente: dare forma ai dati è un fatto molto delicato, e la massima attenzione e il massimo scrupolo devono sempre guidare a questo proposito chi opera in campo scientifico [f]. dati → informazione → CONOSCENZA Il terzo elemento sulla via dell’intelligere, la conoscenza, intesa come “prendere possesso intellettualmente … della realtà [connettere]” ci ricollega al metodo di cartesiana memoria e al problema gnoeologico. La conoscenza scientifica non può essere di tipo esclusivamente deduttivo. Ma, seguendo le critiche all’induzione da Hume e K. Popper, non può nemmeno essere di tipo induttivo. Cerchiamo di riassumere queste due idee cruciali seguendo l’impostazione data da Charles S. Peirce. Come dice U. Volli [4] “... la struttura logica della deduzione [è la seguente]:REGOLA: Tutti i fagioli in questo sacco sono bianchiCASO: Questi fagioli provengono da questo saccoRISULTATO: Questi fagioli sono bianchi (sicuramente)... il ragionamento deduttivo non comporta alcun accrescimento del sapere. Noi sapevamo fin dall’inizio che i fagioli nel sacco erano bianchi, e ci siamo limitati a calcolare le conseguenze logiche di questo assunto: se estraiamo dei fagioli dal sacco, questi saranno necessariamente bianchi...” [4]. La deduzione è certa. Ma ne sappiamo quanto prima. “... la struttura logica dell’induzione [è la seguente]:CASO: Questi fagioli provengono da questo saccoRISULTATO: Questi fagioli sono bianchiREGOLA: Tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi (probabilmente)... l’induzione ... ci consente di allargare orizzontalmente la nostra conoscenza del mondo. La sua essenza è la generalizzazione: noi immaginiamo che ciò che è vero per un certo campione preso a caso da un insieme sia vero anche per tutti gli altri componenti dell’insieme. Non ci vuole molta inventiva per compiere questo salto logico, che comunque è sempre passibile di errore...” [4]. L’induzione è sempre e solo probabile. Ma è un procedimento banale. Esiste tuttavia un modo alternativo di affrontare il problema, che passa “... attraverso la formulazione di ipotesi o abduzioni ...1) RISULTATO: Questi fagioli sono bianchi2) REGOLA: Tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi3) CASO: Questi fagioli provengono da questo sacco (probabilmente)...” [4]. L’abduzione è sempre e solo probabile. Ma ci garantisce il valore aggiunto dell’immaginazione. E’ un procedimento creativo. Osservando "un fatto sorprendente" (abbiamo dei fagioli bianchi) e avendo a disposizione una regola in grado di spiegarlo (sappiamo che tutti i fagioli di questo sacco sono bianchi) possiamo ipotizzare che si dia il caso che questi fagioli vengano da questo sacco. In questo modo noi stiamo cercando di accrescere la nostra conoscenza. Cerchiamo di sapere qualcosa di più sui fagioli: prima sapevamo solo che erano bianchi, ora suppaniamo che provengano da questo sacco. L'abduzione, secondo Peirce, è l'unica forma di ragionamento suscettibile di accrescere il nostro sapere, in quanto permette di ipotizzare nuove idee, di indovinare, di prevedere. È altresì vero che l'abduzione è il modo inferenziale maggiormente soggetto a rischio di errore: l'abduzione, come l'induzione, non contiene in sé la sua validità logica, e deve essere confermata per via empirica [4]. Ecco che finalmente possiamo capire la frase di A. Einstein: “L’immaginazione è più importante della conoscenza” . Al vertice del pensiero scientifico sta l’ipotesi, ovvero la teoria: “l’immaginazione” nelle parole di Einstein, o ancora “l’abduzione” nella parole di Peirce. E’ questo il fatto veramente innovativo sul piano della conoscenza. L’esperimento viene concepito per verificare la teoria. Esperimenti che portano a risultati in accordo con la teoria ne aumentano la verosimiglianza (probabilità), anche se non ne potranno mai asserire la veridicità (verità). Esperimenti che portano ad osservazioni e conseguenze che non sono spiegabili con la teoria, sono in grado di confutarla (falsificarla)
Procede sempre nello stesso modo il “ricercatore”: che sia il fisico teorico che formula un’ipotesi sulla struttura della materia, che sia il medico che formula un’ipotesi sulla malattia del paziente, che sia il detective che formula un’ipotesi sul responsabile del delitto. Formula, appunto, un’ipotesi, e ne deduce delle conseguenze che sottopone a verifica sperimentale (empirica). Non è vero che il ricercatore non abbia un pregiudizio. Anzi paradossalmente lo deve avere. Perché è proprio l’immaginazione che innesca il ciclo del modello ipotetico-deduttivo, a sua volta motore, con l’esperimento, della conoscenza. Ed è l’accettazione “democratica” della verifica sperimentale che consente di accettare (provvisoriamente) o di rifiutare l’ipotesi. Generando una conoscenza mai certa, ma sempre creativa, aperta a nuove ipotesi, a nuove deduzioni, a nuove verifiche sperimentali, e per questo in grado di evolvere. ******************************** |
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Ultimo aggiornamento: 20 febbraio 2023

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