Una volta scelto un valore soglia per separare i soggetti di un gruppo da quelli dell'altro gruppo, si trova che la maggior parte dei soggetti del primo gruppo (non immuni) viene classificato correttamente dal test diagnostico (sono i veri negativi = VN), e che la maggior parte dei soggetti del secondo gruppo (soggetti immuni) viene classificata correttamente dal test diagnostico (sono i veri positivi = VP). Tuttavia, a causa dei limiti inerenti a qualsasi tipo di test/classificazione, accade anche che qualche soggetto senza le IgG sia classificato dal test come soggetto che le ha (FP = falsi positivi), e per converso accade che qualche soggetto con le IgG sia classificato come soggetto che non le ha (FN = falsi negativi). In un recente lavoro [Maudry A, Chene G, Chatelain R, Patural H, Bellete B, Tisseur B, Hafid J, Raberin H, Beretta S, Tran Manh Sung R, Belot G, Flori P. Bicentric Evaluation of Six Anti-Toxoplasma Immunoglobulin G (IgG) Automated Immunoassays and Comparison to the Toxo II IgG Western Blot. Clinical and vaccine imunology, Sept. 2009, p. 1322–1326] sono stati presi in considerazione i principali test diagnostici di routine per la determinazione nel siero degli anticorpi anti-toxoplasma della classe IgG, confrontandoli con un test (immunoblotting) di secondo livello, più complesso e più costoso, ma ritenuto anche più accurato. I test diagnostici di routine hanno dimostrato di avere sensibilità e specificità eccellenti, come illustrato nelle tabella che segue. Ma non sono in grado di fornire la certezza assoluta (che si avrebbe solamente nel caso di un test con una sensibilità uguale al 100% e una specificità uguale al 100%: valori irraggiungibili nella pratica).
Una specificità inferiore al 100% comporta un valore predittivo del test positivo inferiore al 100%: questo significa che il test è positivo sia nei soggetti malati (nel caso specifico in tutti i soggetti malati, data la sensibilità del 100% del test) sia in alcuni soggetti sani. Sui soggetti risultati positivi al test di primo livello viene allora eseguito un test di secondo livello, più complesso e costoso, ma più specifico (per esempio un test diretto per la ricerca nel sangue dell’RNA del virus dell’epatite C). Il test di secondo livello consente di discriminare all’interno dei soggetti risultati positivi al test di primo livello i veri positivi (VP), cioè i soggetti con infezione da virus dell’epatite C, dai falsi positivi (FP), soggetti senza infezione ma nei quali il test di primo livello è risultato positivo: e non per un errore del laboratorio, ma semplicemente per i limiti intrinseci al test di primo livello, limiti derivanti dalla scelta di una soglia tra sani e malati che ha privilegiato la sensibilità, pagando per questo lo scotto sotto forma di una riduzione della specificità del test. Questo concetto lo trovate sviluppato nella parte dedicata a strategie diagnostiche e teorema di Bayes in particolare nel problema 7 della parte riservata agli esempi. Ho preparato una breve discussione sull'argomento anticorpi anti-HCV che risponde ai dubbi del paziente, e che mi pare utile e didattica. Le unità di misura della clearance della creatinina Un paziente ci ha chiesto un chiarimento in merito alle unità di misura nelle quali è espressa la clearance della creatinina. Rispondo con questo breve documento, dal titolo magari un pò ovvio, “Quali sono le unità di misura nelle quali espressa la clearance della creatinina?”, ma che consente di mettere a fuoco alcuni concetti della massima importanza, indispensabili anche per meglio comprendere le argomentazioni che stanno alla base del no alla presenza nel referto di laboratorio dell’eGFR, che gli (eventuali) interessati possono trovare al punto seguente. eGFR - Anatomia di una equazione Un paziente ci chiede se eseguiamo l’analisi denominata “eGFR”. Preciso subito che l’eGFR non è una analisi che viene eseguita “fisicamente” sul sangue del paziente. L’eGFR è il valore numerico che risulta dalla applicazione di una equazione matematica al risultato di un’altra analisi, questa invece comune e assai frequentemente eseguita: la determinazione della concentrazione della creatinina nel siero. Ma la domanda è molto, molto interessante. Premetto che come medico di laboratorio il mio dovere è contribuire ad estendere i sensi del medico/clinico con l’informazione derivante dallo studio dell’organismo in dimensioni che sfuggono all’osservazione diretta da parte del clinico nel suo rapporto con il paziente: fatto che rende significativa la piccolissima parte di medicina di mia competenza. Per fare questo mi sono sempre basato su metodo e principi della scienza: anche se scienza applicata, il laboratorio clinico è fatto di metodo e principi scientifici. E’ sulla base di questa idea fondamentale, sulla quale ho basato la mia vita professionale, che intervengo sul tema dell’eGFR, la “velocità di filtrazione glomerulare stimata”. L’argomento è complesso, tanto che ho dovuto svilupparlo in uno scritto a parte, che ho intitolato “eGFR (estimated Glomerular Filtration Rate) - Anatomia di una equazione. Ho quindi aggiunto un altro scritto, più conciso, semplificato dal punto di vista tecnico, e maggiormente orientato a illustrare le ragioni del no, dal titolo “’Dalla creatinina nel siero all’eGFR e ritorno. I perchè di un no alla presenza dell’eGFR nel referto di laboratorio”. Sono certo che entrambi aiuteranno il nostro paziente a comprendere perché, in attesa che la situazione si chiarisca dal punto di vista scientifico, nei referti del nostro laboratorio non compare l’eGFR. Test di laboratorio per l’influenza (di tipo A e di tipo B) Un paziente ci chiede per quale ragione abbiamo deciso di non eseguire nel nostro laboratorio il test per l’influenza (test per l’infezione da virus dell’influenza di tipo A [che include il virus definito come A(H1N1)v] e di tipo B). Innanzitutto va premesso che per la diagnosi di infezione da virus influenzali esistono vari tipi di test, ma che solamente un tipo di test, che fornisce una “ragionevole presunzione” di infezione, denominato “test rapido”, è alla portata dei comuni laboratori di analisi cliniche. I test che forniscono la “certezza” di infezione prevedono la coltura dei virus su cellule umane e, sia per la sicurezza degli operatori sia (e questa è la ragione principale) per la tutela della salute pubblica (per evitare fughe di virus con i potenziali danni conseguenti sulla popolazione), sono richieste condizioni operative così stringenti che (per esempio) in Italia solamente tre laboratori sono in grado di assicurare questi test, che chiamiamo “test di riferimento”. Dato che la tutela della salute pubblica è uno degli interessi principali dello Stato, tutti i governi (anche quelli che non hanno un sistema sanitario pubblico) hanno messo a disposizione dei cittadini informazioni assolutamente aggiornate in merito, e sul web potete trovare una quantità quasi illimitata di informazioni scientificamente corrette da fonti attendibili (si tratta solo di saperle selezionare). Ma la domanda è oltremodo interessante, perchè mi consente di appellarmi al contenuto del mio sito www.bayes.it che, tra premesse, formule, esempi e programmi, ho dedicato quasi per metà al teorema di Bayes. Che anche nel caso dell’influenza riveste un ruolo esplicativo centrale: vediamo come, partendo dalla citazione di due (tra i tanti) lavori che lo utilizzano/ne utilizzano i presupposti. Nel lavoro “C.K.Y. Cheng et al. / Factors affecting QuickVue Influenza A + B rapid test performance in the community setting / Diagnostic Microbiology and Infectious Disease 65 (2009) 35–41” si afferma che “i test rapidi hanno una sensibilità di 0.68 e una specificità di 0.96 quando confrontati con la coltura del virus”. Nel lavoro “C. Ruef / Diagnosing Influenza – Clinical Assessment and/or Rapid Antigen Testing? / Infection 2007; 35: 49–50” si afferma che la diagnosi di influenza basata sui segni clinici [insorgenza acuta, febbre elevata e tosse secca] ha una “sensibilità del 33% e specificità del 98%.” Sono queste due affermazioni sufficienti per trarre una qualche conclusione? Direi proprio di si. Guardate le due seguenti tabelle, ottenute mediante il mio semplicissimo programma per il calcolo del valore predittivo di un test di laboratorio a partire da sensibilità, specificità e prevalenza, utilizzando il teorema di Bayes. Impiegando i valori di sensibilità (0,68) e di specificità (0,96) dei test rapidi indicati da Cheng si ottengono, in funzione dei valori della prevalenza della malattia “influenza” che vanno dal 5 per mille (0,005) al 20% (0,20), il valore predittivo di un test positivo (VPT+) e il valore predittivo di un test negativo (VPT-) che trovate qui nelle due colonne di destra:
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Ultimo aggiornamento: 20 febbraio 2023

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